Editoriale del Vice Presidente dei Giovani Ance Francesca De Santis
E’ noto che, in Italia, i tempi e i costi di realizzazione delle opere pubbliche sono largamente superiori alla media europea.
Più che proporre una vuota denuncia del sistema, proverò, in modo conciso, ad evidenziare alcuni profili patologici che purtroppo ho riscontrato più volte durante l’attività imprenditoriale negli ultimi anni.
Le ragioni di tali problematiche, oltre che derivare da difficoltà concrete riscontrate sul piano dell’esecuzione del contratto, sono spesso frutto del complesso quadro normativo vigente in materia di appalti.
Un sistema che a mio modesto parere meriterebbe di essere corretto anche al fine di tutelare sia l’esecuzione dell’opera che l’operato delle imprese sane.
Ad esempio, l’assenza di un reale vincolo di destinazione sulle risorse stanziate per l’esecuzione dell’Opera Pubblica.
Uno dei problemi da risolvere, e su cui è possibile operare a livello normativo, consiste nell’assenza di un vincolo di destinazione dei fondi destinati all’esecuzione dell’opera pubblica. I pagamenti eseguiti dall’Ente Committente possono infatti essere utilizzati – e di fatto vengono utilizzati da quelle imprese eticamente scorrette – per fronteggiare qualsiasi diversa necessità dell’impresa aggiudicataria/mandataria. Di conseguenza, l’opera subisce ritardi derivanti dai ritardati o mancati pagamenti alle imprese mandanti, subappaltatori e fornitori.
Se poi, l’impresa aggiudicataria è in crisi questi effetti si amplificano.
Il sistema delle ATI Associazioni Temporanee di Imprese
Per focalizzare meglio l’effettività del problema, occorre considerare che, in particolare nel mercato italiano, composto prevalentemente da piccole-medie imprese, le opere pubbliche vengono aggiudicate da raggruppamenti di imprese riunite (ATI o Associazioni Temporanee di Imprese) ed il sistema normativo prevede che solo l’impresa c.d. mandataria capogruppo abbia diritto ad incassare i corrispettivi pagati dalla Stazione Appaltante. Il sistema, che in altri paesi europei non comporta particolari criticità, può comportare gravi distorsioni (ed in Italia comporta gravi distorsioni).
Dunque, le Stazione Appaltante esegue i pagamenti in favore dell’impresa mandataria capogruppo, mentre le altre imprese del raggruppamento (le c.d. ‘mandanti’), incassano solo attraverso la mandataria, la quale dovrebbe distribuire, in loro favore, i proventi di pertinenza di ciascuna. Questo comporta che – anche quando la Stazione Appaltante sia assolutamente puntuale nei pagamenti – le imprese che concretamente eseguono l’opera sono esposte al rischio di non ricevere la quota a loro dovuta e i lavori non proseguano.
Quando l’impresa mandataria capogruppo è in crisi ma non ancora fallita, il flusso finanziario della Commessa pubblica si interrompe in modo assoluto: i pagamenti arrivano alla impresa mandataria e restano in capo a quest’ultima.
Infatti, mentre la dichiarazione di fallimento scioglie il rapporto di mandato ai sensi dell’art.78 della Legge Fallimentare (e la mandataria non può più incassare per conto delle mandanti), in caso di concordato preventivo la mandataria in crisi (avendo il mandato all’incasso) continua ad incassare anche le quote di spettanza degli altri soggetti esecutori dell’appalto (mandanti, subappaltatori e fornitori), senza poi versare quanto loro dovuto ed anticipato per l’esecuzione dell’appalto.
Quindi, i soggetti mandanti che fino a questo momento non erano in crisi, si troveranno paradossalmente da un lato a rispondere solidalmente per i debiti del mandatario insolvente (per la previsione normativa della responsabilità solidale che prevede che il socio mandante sia illimitatamente e solidamente esposto verso i terzi) e dall’altro a non vedersi riconosciuto il prezzo dell’appalto fino alla definizione della procedura concorsuale che comunque porterà ad un pagamento in moneta concordataria, quindi svalutata del 70/80% e, quindi, alla crisi dell’impresa mandante, con un processo a catena!
Ad esempio: il mandatario incassa e non paga né mandante (società patrimonializzata) né terzi a valle.
In forza della responsabilità solidale, il terzo creditore a valle agirà per ottenere il pagamento nei confronti del socio “patrimonializzato” ottenendo presumibilmente un pignoramento presso TUTTI i c/c del socio patrimonializzato, che si vedrà congelare fondi per somme ben superiori a quelle che sarebbero state di sua competenza rischiando di andare in default prima ancora del consorziato moroso o inadempiente
Dunque, le mandanti esecutrici dei lavori – che non hanno il mandato all’incasso e non hanno concrete possibilità di controllare l’operato dell’impresa mandataria capogruppo – si ritrovano responsabili in solido con essa e non dispongono di alcuno strumento di protezione. E’ chiaro che – con il sistema attuale – le imprese ‘sane’, almeno astrattamente in grado di pagare i debiti contratti dall’impresa mandataria, ricevono dal sistema un notevole disincentivo ad entrare nei raggruppamenti.
Al contrario, le imprese maggiormente sottocapitalizzate ed a rischio di insolvenza ricevono un incentivo, non avendo comunque, almeno di fatto, nulla da perdere, visto che i loro debiti saranno solidalmente pagati dalle imprese sane.
Questo significa che gli imprenditori vengono incoraggiati – dallo stesso sistema legislativo – a comportamenti opportunistici e non virtuosi. Le imprese sane sono invece quelle che hanno più difficoltà ad operare.
Che questo non sia un alibi per coprire le aziende in crisi con i soldi delle aziende patrimonializzate?
Ci rendiamo che conto che tale principio è un disincentivo alle imprese sane ed un incentivo a quelle sottocapitalizzate a rischio di insolvenza?
Impegniamoci tutti per portare all’attenzione del governo tale problematica!