Intervista all’Avv. Paolo Quattrocchi socio dello studio NCTM sulla disciplina del contratto di rete che è stata introdotta per fornire alle imprese la possibilità di accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato.
Il contratto di rete è stato introdotto nel nostro ordinamento ed è disciplinato dall’articolo 3, commi 4- ter, 4 quater, 4 quinques, della Legge n. 33 del 9 aprile 2009 (di conversione del Decreto Legge n. 5 del 10 febbraio 2009), così come modificata dal Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito nella Legge n. 122 del 30 luglio 2010.
La disciplina del contratto di rete è stata introdotta per fornire alle imprese la possibilità di accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, impegnandosi reciprocamente, in attuazione di un programma comune, a collaborare ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ad esercitare in comune una o più attività
rientranti nell’oggetto della propria impresa.
Possono partecipare alla rete tutti i tipi di imprese, sia quelle individuali che quelle collettive, senza alcun limite dimensionale, vincolo di localizzazione territoriale o tipo di business. Si tratta, soprattutto,
di un contratto a struttura “aperta”, nel senso che possono aderire anche imprese diverse da quelle che hanno dato origine alla rete, secondo modalità di adesione predeterminate e stabilite nel contratto medesimo.
Tale strumento giuridico è apparso da subito di particolare interesse nei processi di internazionalizzazione
delle piccole e medie imprese, le quali, per definizione, non posseggono la struttura e le capacità per poter aggredire mercati esteri nei quali si trovano a dover competere con soggetti estremamente più grandi e strutturati rispetto a quelli presenti nel mercato interno, ovvero a dover rispondere a criteri dimensionali e/o di capacità tecnica non presenti individualmente per poter accedere a grandi commesse.
Da questo punto di vista pertanto, ed a seconda delle esigenze, si sono viste fiorire ipotesi di contratti di
rete c.d. orizzontali (tra soggetti operanti nel medesimo segmento della filiera) ovvero verticali (tra soggetti,
invece, che operano in settori differenti).
» Esistono già alcune formule di aggregazione tra imprese come i raggruppamenti temporanei ed i consorzi. Quali sono le principali differenze e perché preferire la rete?
Il raggruppamento temporaneo di imprese è il sistema a cui solitamente le imprese ricorrono per partecipare a gare d’appalto quando, singolarmente considerate, non possiedono i requisiti richiesti dal bando di gara. Esso è caratterizzato da un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito e irrevocabile, conferito collettivamente all’impresa capogruppo.
Il consorzio, invece, è il contratto con il quale due o più imprenditori “istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” (articolo 2602 cod.civ.).
Appare evidente come la differenza più importante di tali forme di cooperazione tra imprenditori risieda nello scopo specifico dell’aggregazione fra le imprese partecipanti e nell’assenza nel raggruppamento temporaneo di imprese e nel consorzio di un programma comune duraturo e non limitato al compimento di uno specifico affare o alla disciplina delle fasi della rispettiva attività di impresa. In particolare, è stato sottolineato che il raggruppamento temporaneo di imprese altro non è che un mezzo tecnico tramite il quale ciascuna impresa persegue un interesse “proprio”, distinto da quello delle altre imprese partecipanti.
È opportuno chiarire come dalla “rete” non nasca una soggetto giuridico autonomo distinto rispetto ai partecipanti né, di conseguenza, un soggetto passivo a livello fiscale, ma un regolamento di interessi, il che comporta una serie di diritti e doveri strumentali alla realizzazione del programma economico delle imprese unite in rete. A differenza del consorzio con attività esterna, ai sensi dell’articolo 42 della Legge 122/2010, il contratto di rete può – ma non deve – prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune al quale – se del caso – si applicheranno le disposizioni previste dagli articoli 2614 e 2615 Cod. Civ.
L’elasticità di questo istituto consente di poter affermare come lo stesso possa essere considerato uno strumento di utile cooperazione fra piccole e medie imprese, le quali attraverso l’unione delle proprie forze e delle rispettive risorse economiche, hanno l’opportunità di perseguire un obiettivo di crescita che, se operassero individualmente, non potrebbero raggiungere.
» Come si gestisce la rete ed il fondo comune?
Un altro aspetto utile che fa considerare il contratto di rete come uno strumento trasversale, è la possibilità, concessa dal legislatore, di modulare autonomamente l’organizzazione della rete stessa. La peculiarità di questo contratto, infatti, consiste proprio nel fatto che, pur non nascendo un soggetto giuridico, esso può prevedere l’istituzione di un fondo comune, insensibile alle vicende personali dei partecipanti, nonché la nomina di un organo comune “incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”. Il legislatore ha, dunque, lasciato alle imprese la scelta della governance della rete. Infatti la regolamentazione dell’organo comune è demandata totalmente all’autonomia delle parti, le quali, ove ritengano di istituire detto organo, dovranno altresì indicare nel contratto “la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto”. I soggetti che costituiranno l’organo comune di gestione della rete risponderanno del loro operato nei confronti delle imprese secondo le regole del mandato.
È verosimile pensare che maggiori sono le dimensioni delle imprese partecipanti, più complessa sarà l’organizzazione e la governance della rete e più dettagliato il contenuto nel contratto. In questo senso è opportuno sottolineare che, sebbene nella “rete” non esista istituzionalmente una impresa capogruppo (come, ad esempio, nel raggruppamento temporaneo di imprese), nulla osta a che i partecipanti indichino, comunque, nel contratto un’impresa che abbia un ruolo centrale (alla stregua, sostanzialmente, di una “capogruppo”) nella realizzazione del programma comune.
» Le reti possono partecipare a gare ed appalti pubblici?
Sì. Con la Legge 17 dicembre 2012 n. 221, il legislatore, modificando gli articoli 34 comma 1, lett. e) bis e 37 comma 15 bis del Codice degli Appalti, ha espressamente previsto la partecipazione dei “contratti di rete” a gare ed appalti pubblici.
» Ci sono vantaggi fiscali per le reti?
È importante sottolineare come il legislatore guardi con favore e soprattutto incentivi la sottoscrizione di contratti di rete. Con la novella del 2010, infatti, è stata prevista da un lato, la possibilità di stipulare apposite convenzioni con la Associazione Bancaria Italiana e, dall’altro, di ottenere vantaggi di carattere fiscale. La legge 122/2010 ha infatti stabilito che non concorre alla formazione del reddito imponibile dell’impresa aderente a un contratto di rete la quota degli utili dell’esercizio destinata al fondo patrimoniale comune e per tale via alla realizzazione degli investimenti previsti dal contratto di rete. La quota degli utili deve essere, quindi, accantonata in un’apposita riserva e concorre a formare il reddito se utilizzata per scopi diversi dalla copertura delle perdite di esercizio ovvero viene meno l’adesione al contratto di rete. Ove i contraenti vogliano avvalersi delle agevolazioni fiscali, il programma di rete dovrà essere preventivamente asseverato da organismi espressione dell’associazionismo imprenditoriale.
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